Il Museo Civico dei Villaggi scomparsi, allestito nel 1996 e gestito dal Gruppo Bassa Padovana, si propone di illustrare, attraverso documenti, cartografie (in particolare mappe e foto aeree) nonché reperti archeologici, la storia degli antichi insediamenti della Bassa Padovana generatisi da impianti di bonifica agraria del periodo romano, sviluppatesi notevolmente tra i sec. X – XII e poi scomparsi tra i sec. XIV e XV. Lo studio ha preso spunto da un documento del 1077 nel quale Arrigo IV Re di Germania e d’Italia conferma ad Ugo e Folco il possesso dei beni acquisiti dal padre Azzo II, signore d’Este. In questo elenco compaiono nomi di villaggi del tutto scomparsi dalla toponomastica attuale o al massimo ricordati da toponimi oggi relegati in località quasi del tutto disabitate. E’ un museo che dà spazio e voce a quelle piccole comunità che, seppur umili e primitive, furono artefici della colonizzazione del territorio tra l’Adige e i Colli Euganei, un museo che racconta la quotidianità di chi non ha mai fatto la “grande storia” ma ha invece dovuto subirla, la storia del popolo, anzi, del Popolo della Bassa Padovana.
Il museo si articola in tre aree: la sala di ingresso è di introduzione generale; in essa si illustrano le metodologie di ricerca utilizzate per identificare fisicamente le località in cui sorgevano questi primi agglomerati, le condizioni ambientali con cui si trovarono a coesistere, le trasformazioni subite dal territorio e le tracce (sotto forma di reperti) lasciate da questi nostri antichi progenitori. L’ambiente in cui si svilupparono questi primi agglomerati non era tra i più ospitali anche se, proprio per la sua tipologia, garantiva il necessario per il sostentamento quotidiano (prati per il pascolo, pesce in abbondanza e innumerevoli specie animali da cacciare). Un contesto ambientale del tutto simile a quello proposto dall’attuale Bosco dei Lavacci, situato nell’area golenale tra Scolo Masina e Canale Gorzone.
In questa prima sala, a scopo storico-didattico, è stato installato il plastico di un tipico villaggio alto-medievale con capanne di legno e paglia e chiesa (unico edificio in muratura). Questi villaggi erano sovente protetti da un fossato e da un terrapieno su cui sorgeva una “palizzata in vivo” costituita da un fitto intreccio di piante spinose e rovi. L’accesso era consentito da un rudimentale ponte levatoio. La funzione di protezione svolta da questo genere di difesa era intesa più verso gli animali selvatici che infestavano la zona che verso veri e propri nemici.
La seconda area del Museo è dedicata alla descrizione di alcuni Villaggi Scomparsi di cui si è potuto determinarne con certezza l’esatta ubicazione grazie ai tre tipi di testimonianze su cui si è sempre basato il nostro studio: la testimonianza scritta (talvolta anche quella orale), la testimonianza cartografica-fotografica e la testimonianza oggettiva. Il primo villaggio descritto è Ancarano, toponimo di chiara origine romana, con chiesa dedicata a Santa Colomba, citato per la prima volta in un documento del 1077. L’abbandono del villaggio dovette avvenire attorno alla metà del XIV secolo, anche se il Vescovo Barozzi solo nel 1489, nella sua visita Pastorale, descrive la chiesa abbandonata, senza tetto e con il pavimento pieno di rovi ed il territorio quasi disabitato a seguito delle inondazioni del Fossa Lovara. Il villaggio è stato individuato nel Comune di Villa Estense, in un appezzamento di terreno ancor oggi in proprietà alla Curia Padovana compreso tra via Grompa di Sopra e Grompa di Sotto. I reperti venuti alla luce testimoniano inequivocabilmente tracce di epoche passate. In questo caso si parte da frammenti di oggetti risalenti al periodo paleoveneto, si prosegue con frammenti di periodo romano per concludere con numerosissimi frammenti di ceramica grezza “pettinata” appartenenti in prevalenza a vasellame di uso domestico.
Il Villaggio del Finale, con chiesa dedicata a S. Maria, viene citato per la prima volta sempre nel documento del 1077. La sua ubicazione è stata individuata in Comune di Villa Estense, grazie a foto aeree e al ritrovamento di reperti, nonché e soprattutto, grazie al persistere del toponimo con cui ancor oggi viene indicata la località in cui si trovava ad insistere e cioè Sgiazza o Cesazza (Chiesa Vecchia). I reperti venuti alla luce confermano in primo luogo la presenza di un insediamento di età romana (frammenti di vaso, pesi da telaio etc.), mentre i reperti sicuramente ascrivibili al periodo medioevale, per la loro grossolanità e il loro impasto grezzo, indicano un arco di tempo piuttosto ridotto, limitato ai secoli XI e XII.
All’individuazione del primitivo Villaggio di Vescovana, con chiesa dedicata a S. Cristina, si è giunti grazie ad un “particolare” individuato nella grande carta del Retratto del Gorzon, custodita presso il Museo Etnografico di Stanghella. In corrispondenza dell’attuale Località “Livelli” (oggi Comune di Granze) si nota, in una zona totalmente disabitata, la rappresentazione di una Chiesetta (o i resti di essa). In questo sito, accanto a più antichi reperti di epoca romana e alla classica ceramica grezza “pettinata” tipicamente medioevale, sono ben rappresentate le “Ceramiche arcaiche” quelle ceramiche ingobbiate, dipinte ed esternamente invetriate che appaiono verso la metà del XIV secolo. La loro presenza, dato il grado di raffinatezza ben al di sopra di quello primitivo sino ad allora accertato, porta a supporre la presenza in loco di qualche famiglia facoltosa. Il villaggio doveva essere consistente, dato che negli antichi Statuti Padovani duecenteschi gli venivano attribuiti ben 57 “fuochi”, ossia nuclei familiari. Le ultime annotazioni sulla chiesa si hanno nella relazione della visita del Vescovo Barozzi nel 1489; a quell’epoca era già abbandonata e senza altare. Il nucleo insediativo di Vescovana si sposta a sud del fiume S. Caterina, mentre si delinea anche quello di Granze.
La terza ed ultima area del museo è interamente dedicata al Villaggio di Villa. Secondo le fonti scritte la Pieve di Villa viene citata per la prima volta in un documento del 1179, mentre dal già citato documento degli statuti Padovani del 1281 si desume che la sua consistenza era di appena 36 famiglie; testimonianza questa che ci porta a supporre che i villaggi di Ancarano e Finale fossero ancora notevolmente floridi. Nella mappa del Retratto del Gorzon, appena ad ovest dell’abitato di Villa, compare una scritta che indica che la località era conosciuta come Sasso Castellaro, un toponimo questo che starebbe ad indicare un luogo sicuramente fortificato. In quest’ultima sala sono esposti in due vetrine ceramiche che testimoniano il progredire di questi abitati, dando spazio in particolare a quelle ascrivibili al periodo rinascimentale. Di grande interesse risulta inoltre il ritrovamento di una moltitudine di frammenti di secchielli e testucci in pietra ollare (una roccia tenera denominata anche pietra verde) diffusa prevalentemente in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria. Non essendo quindi una roccia rinvenibile nei nostri dintorni appare piuttosto chiaro che, pur trattandosi di villaggi molto primitivi, gli abitanti, probabilmente in maniera sporadica, commerciavano anche con località piuttosto lontane
Contatti
Via Municipio, 22 – 35040 Villa Estense (Pd)
Tel. +39 3389654483 – email museovillaggiscomparsi@gmail.com
Periodo apertura:
Sabato e domenica dalle 15.00 alle 18.00, su prenotazione
Per gruppi e scolaresche: tutti i giorni su prenotazione